Lazzaro tornò a casa con rinnovata speranza. Mentre stava per entrare in camera da
letto, notò a malapena la totale assenza dei suoi averi. Sbirciando tra la porta
e lo stipite vide l'adorabile moglie,
l'amore della sua vita, la vedova addolorata, tra le braccia del suo amico Joshua. Stavano infrangendo il Sesto Comandamento. Fornicavano con una passione
insolita, una passione che lui non conosceva. Voleva piangere, ma i suoi occhi erano vuoti e le lacrime non scendevano. Andò allora in cortile per confidare i dolori a Erode, il
suo fedele cane. Ma l'ingrato ringhiò furiosamente, minacciando di mordere
la poca carne che ancora pendeva dalla sua triste umanità. Allontanandosi da casa, Lazzaro sapeva di non avere altra
scelta che tornare sui suoi passi. Sulla via del ritorno, né le falene né il gufo lo degnarono di uno sguardo. La strada, che non conduceva a Roma, lo portò presto
all'ingresso del cimitero. Si sedette su una lapide ricoperta di erba gialla e osservò gli
scorpioni che cercavano di nascondersi tra le dita dei suoi piedi. In quella notte
senza luna, desiderò davvero di non essere mai vissuto nell'era dei miracoli.