Malgrado la natura non conosca la pietà, molti ci trovano un pizzico di viltà nel suicidio o nell'eutanasia. Ma che c'è meglio dell'iniquità per assaporare la delusione di esistere? L'intera vita verrebbe rivista in maniera diversa se la vecchiaia o la malattia fossero concepite come un regolamento di conti, il momento esatto per riscattare il passato, per smentire il giudizio morale che il mondo attribuisce a ciascuno. Sarebbe l'occasione perfetta per stupire tutti lasciando un testamento non somigliante, un'eredità che parlasse di noi in modo più nobile dell'ipocrisia quotidiana, degli sguardi vuoti posati sugli altri, delle occasioni sprecate per orgoglio o per noia. Ma i più continuano a mantenere le apparenze, si ostinano a vivere come moribondi attenuati, da divulgatori di idee innocue, incuranti che le sole esternazioni da lasciare sono quelle che contraddicono il senso comune. La morte non è soltanto scacco e disperazione, è anche fierezza, libertà di allontanarsi con dignità da se stessi, consapevolezza che il prezzo da pagare per essere unici è che si deve morire da soli.