Certi giorni d'inverno vado a piedi fino al faro per vedere la linea dell'orizzonte scomparire. Mi siedo e aspetto con pazienza l'attimo in cui cielo e mare diventano tutt'uno, fusi in un grigio bluastro che ricorda alcune tele di Pissarro. Osservare questo fenomeno è la più mistica delle cose terrene, perché annulla la distanza tra l'osservatore e l'universo, lasciandogli l'impressione di muoversi verso di lui. Ma è solo un'illusione ottica. Non basta infatti una tonalità a creare un'appartenenza, né uno spazio smisurato può separarci dal nostro Io. Se davvero sparisse il punto in cui il mondo sensibile si connette a quello invisibile, un'idea sarebbe indistinguibile dalla materia e non avremmo più coscienza delle diversità del mondo.
Invece, non appena la luce cambia, ogni cosa torna al suo posto e di colpo rispunta il confine tra ipotesi e realtà, il limite che separa il presente da una promessa.
Capisco allora che il concetto di infinito non è accessibile alla mia mente, è soltanto un'astrazione dovuta a un bisogno interiore, la fuga immaginaria di chi è tenuto a vivere in un corpo.
Invece, non appena la luce cambia, ogni cosa torna al suo posto e di colpo rispunta il confine tra ipotesi e realtà, il limite che separa il presente da una promessa.
Capisco allora che il concetto di infinito non è accessibile alla mia mente, è soltanto un'astrazione dovuta a un bisogno interiore, la fuga immaginaria di chi è tenuto a vivere in un corpo.
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Antti Viitala ~ Winter Shoreline |